Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



venerdì 1 novembre 2013

Aἰδοῖα





“Me ne frego” vuol dire “mi ci masturbo”, “questa cosa è talmente vile che la uso per masturbarmici”. Ma è davvero una cosa vile, se ci dà piacere? Ed esiste qualcosa di così vile che non possa darci almeno del piacere solitario, che urga verso l’orizzonte dove si apre di nuovo il Giardino delle Delizie?

“Vaffanculo”, “vai a farti fottere”: nell’Età del Ferro la somma ignominia è associata alla paedicatio patita o peggio ancora accolta e desiderata, eros da ragazzini sottomessi al maestro di grammatica o d’armi. Il fato sodomizza, deflora da dietro, alle spalle, inatteso, sul lato dove l’Androgino fu dimidiato da Zeus, il luogo dell’inconscio, dell’invisibile. Ma allora lasciarsi sodomizzare dal fato è consentire con Ananke, la Necessità (anankei synchorein), principio stoico della trasmutazione interiore: perché non c’è umiltà se non si sperimenta il marchio penetrante, invadente, incancellabile dell’umiliazione.

La bestemmia è una specialità appenninica. In quei luoghi il Dio abramico, il Maschio Alef, Deus deorum, accostato di schianto all’animale sacro mediterraneo, il maiale che ha il sangue dell’uomo, profetico, sacrificale, venereo (choiros in greco è la scrofa e la fica, nel Medio Evo si diceva sapidamente “la maiala”, “la troia”, per indicare il cunnus), il totem sottomesso e assunto dall’anacoreta Antonio – ritorna, ricade per un lungo istante nell’humus grasso e ferace, nel fango e nel trogolo, e si libera – paradossale lustrazione – dei residui psichici del dualismo manicheo, in cui si predicava che il Dio di Luce è distante dalla Materia come un Re glorioso da un porco. La bestemmia valica quella distanza: la sua essenza autentica non è la rottura, la mutilazione, ma l’integrazione, l’intero. Solo la Misericordia può essere “tirata giù” come un moccolo: Satana cade per la propria gravità, per orgoglio.

Quando sento una tredicenne dei sobborghi dire “Mi hai rotto le palle” e “Me lo sbatto al cazzo”, non penso che il modello patriarcale – il modello della caserma – abbia riportato una vittoria definitiva sul Mutterrecht e le sue ultime, delicate trincee. Penso piuttosto che il modello della caserma sia ancora utile, ieri come oggi, e oggi universalmente, a trasformarci in “signorine” (come i sergenti chiamano le reclute) fragili e turpiloque, spaventate e pronte e a tutto.  

2 commenti:

  1. Meriterebbe una seria riflessione anche l'essere scoglionati. Meglio, scoglionate.
    Maria Rita

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  2. Ecco, sì: a differenza degli effati delle mie noterelle, che si odono più facilmente per le strade, questo è ormai diffuso anche nelle migliori case alto-borghesi. I testes (ovvero i testimoni) come metafora corporea della capacità di reggere, di sopportare: davvero strano che una donna, il cui corpo e la cui psiche hanno ben altre riserve di forza (come sa chiunque abbia malamente assistito una gravida, una partoriente o anche solo una donna malata), debba attingere il proprio slang dalla monotonia della caserma e dello spogliatoio (dubito che queste due pregevoli istituzioni abbiano generato tropi originali, negli ultimi venti secoli)

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