Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 10 novembre 2013

Like the grooves of a launching







The Poor Thing di Stevenson è la più bella favola pagana che un figlio dell’eone cristiano abbia mai narrato. Un pescatore, umile, gaio e bruttissimo (sembra un personaggio di Zhuang-zhi), viene cercato da uno spettro languido e inquietante, il desiderio, l’idea, la possibilità di un figlio. Quel tremore di fiato, delicato e inesorabile motore della storia, accompagna il pescatore al tumulo dei suoi morti, mucchio d’ossa che ronza della brama vegetale di sole e di linfa, la tanha che è sostanza del samsara, silenziosa consegna di un talismano da una generazione all’altra. Il talismano è una parola e una cosa: un detto sapienziale, un ferro di cavallo arrugginito. La parola è insipida e trasformante, come un versetto taoista: “La vita è piana davanti a tutti come le scanalature di un varo” – la prospettiva della morte, della tomba è questa levità insostanziale, questa vacuità che evacua le tumide passioni. La cosa è un koinos Hermes e una sacra reliquia al contempo: non ha prezzo, perché una cosa vale un’altra – e proprio per questo è il tesoro inestimabile. La fede che avvince gli uomini al tumulo dei padri, all’albero, al santuario, al focolare, non è la presa tenace dell’ignoranza sugli accidenti della storia e del quotidiano: è permeata, impregnata di consapevolezza, sa in modo trasognato che la tradizione è la figura provvisoria e dunque preziosissima, da difendere usque ad sanguinem, che assume il Tao sempre fluente – come ogni esistenza umana, come ogni sasso e ogni tramonto. La figlia del Conte che sposerà il pescatore e concepirà il figlio, dando alla luce e alla carne la Povera Cosa, è attratta dall’indolenza enigmatica di quell’uomo che siede al mercato con un oggetto che non intende vendere, che sa cosa sta attendendo ma non sa in alcun modo darne ragione, dirne il perché. La contessa è la coscienza discriminante, che la semplicità del pescatore deve conquistare per incarnare il destino proprio e del ghenos: quando ne ascolta i discorsi si sente stordita e le vien voglia di piangere, perché sente la cortina dell’apparenza che tremola e si disfa, sente che l’archetipo e il daimon sono ad un passo. Così l’idiota di orribile aspetto sposa l’aristocratica, e nasce un bravo ragazzo che non sa nulla, come il padre, come i padri, perché la vita è piana davanti a tutti come le scanalature di un varo, ma curva e ironica e lunare come un ferro di cavallo arrugginito.

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