Il
grande vizio d'origine dell'anarchismo in quanto tale è nella sua
matrice ottocentesca, lo spirito di sistema, che nella forma del
socialismo 'scientifico', ad esempio, ha denigrato come 'utopistiche'
o 'rozze' forme di pensiero e di prassi alternative, condannandole
all'eterodossia. L'idea anarchica è la semplicità stessa: l'unica
formulazione adeguata sembra essere l'enigma sapienziale taoista, che
dice senza definire; così pure la sua applicazione sembra essere
l'esoterismo, nella sua forma non sacerdotale e settaria, ma in
quella della sana scepsi popolare e universale, che cristianamente
potremmo chiamare coscienza e consapevolezza del peccato originale,
ovvero dell'ostacolo alla semplicità anarchica stessa. Dare invece
una formulazione sistematica, quale essa sia, alla semplicità, è un
paradosso che la snatura: e la snatura perché la semplicità è la
natura stessa, che deve restare spontanea, umile, terra terra – e
in qualche modo sempre occulta, o tendente all'occultamento, secondo
la parola eraclitea. Ciò che si può e deve enunciare e tentare è
la lotta a quanto la impedisce: ma questa lotta potrà e dovrà
utilizzare con saggezza, e dunque con doppiezza, gli strumenti della
caduta, la spada, il tribunale, le istituzioni coercitive. Anarchico
sarà (e utilizzo l'aggettivo piuttosto che il sostantivo ideologico
per alludere al fatto che, come ogni forza naturale, si coglie nei
suoi effetti, nel suo manifestarsi ed operare, non nella sua essenza)
cercare di rendere ogni istituzione, ogni mezzo di lotta e di
costrizione quanto più possibile trasparente alla sua origine e al
suo fine, limitarne l'opacità: ridurre quindi, attraverso l'opposto
complementare della noncuranza naturale, ovvero la vigilanza
permanente, l'inclinazione 'diabolica' del potere a costituirsi come
qualcosa di separato, come un centro di prestigio, di violenza e di
sedizione antipopolare. Anarchica sarà dunque la protesta
inestinguibile e costante contro il potere separato, ovvero contro
l'effetto più grave del peccato originale, il peccato d'orgoglio. Il
che non implica necessariamente una rinuncia alla costruzione di
forme istituzionali più armoniche con l'idea naturale, con il tao
politico, una volta però che sia sia plasmata una comunità in grado
di darsele. L'atto che crea le istituzioni è paragonabile alla
tessitura di una veste, quello che plasma una comunità è
paragonabile alla generazione fisica, alla generazione di un corpo:
trattandosi di un corpo sociale, è qualcosa di culturale, ovvero è
la declinazione della natura anarchica in una forma storica, il suo
radicamento in un gruppo umano che si percepisce giustamente
unitario. Anche la cultura, anche la comunità è dunque una veste,
se la si considera in relazione alla natura originaria: ma la
comunità è la soglia, l'iconostasi direi, tra i due mondi,
l'invisibile e il visibile, è un tessuto vivente e personale, mentre
le istituzioni, con la loro impersonalità, il loro fondamento in una
giustizia meno flessibile, tendente all'inesorabilità e al
rigore-rigidezza, appartengono più decisamente al visibile, sono
strumenti che andrebbero sottoposti ad una revisione periodica severa
per impedirne, con una morte vivificante, la morte pestifera,
velenosa, la corruzione che non rinnova ma produce solo maggiore
entropia.
Insomma,
l'idea anarchica fallisce quando "sta in sé", quando
commette la stessa colpa del potere, uscendo dal tessuto vivente e
comune per farsi realtà separata, ideologia. L'idea anarchica
feconda una convivenza umana quando resta in basso e plasma una
comunità, lasciando che sia poi la comunità viva a darsi
istituzioni il più possibile libere, egualitarie e fraterne.