Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 5 gennaio 2015

Il pavimento di cristallo e la rivelazione erotica di Salomone e Bilqis





“Le fu detto [i. e. a Bilqīs]: ‘Entra nel cortile’. Quando lo vide, pensò fosse una distesa d’acqua e si scoprì le gambe. Egli [i. e. Sulaymān] disse: ‘In verità è un cortile lastricato di cristallo’. Ella disse: ‘Mio signore, ho fatto torto a me stessa. Mi sottometto con Sulaymān a Dio, signore dei mondi’” (Sura delle Formiche, v. 44). L’acqua e il cristallo dell’episodio coranico della regina di Saba, Bilqīs, corrispondono al serpente e alla corda del Vedanta. Il moto del desiderio, la conoscenza proiettata dualisticamente all’esterno, ci fa scambiare il perfetto e l’essere per (e con) il manchevole e il diveniente, il fisso con il volatile. Makeda-Bilqīs impara da Salomone la viveka, il discernimento, Salomone impara da lei l’eros come amachanon horpeton, animale ineluttabile: colei che è nera, ma bella, come la materia dell’alchimia, colei che ha gambe pelose, dionisiache (come la donna-capra della Pietra lunare di Landolfi), ha oscurato se stessa/fatto ingiustizia a se stessa [lett. alla propria anima] e ora si ricongiunge a Dio, principio delle teofanie, insieme a Salomone. Il Cantico dei cantici, dalla tradizione riferito agli amori tra il figlio di Davide e la regina del regno del sud (arabo o africano), è una “operazione a due vasi” (G. Kremmerz), un poema di eros gnostico che fa da prototipo a quelli dei Fedeli d’Amore d’ogni luogo: apprendistato alla morte del desiderio con oggetto, oltre la quale si risorge androgini, immortali; rituale di ierogamia ermetica in cui ogni coito è gemito di nostalgia e ogni distacco un nutrirsi l’uno dell’altro.

Secondo i padri cristiani orientali, le tre opere di Salomone corrispondono alle tre tappe dell’itinerario spirituale. I Proverbi (meshalim, parabole, similitudini) sono il libro della via purgativa, opera al nero, in cui si separa la luce del cuore dall’identificazione tenebrosa con il corpo. L’Ecclesiaste (Colui che raccoglie, che raduna l’assemblea) è il libro dell’opera al bianco, in cui viene fissato il mercurio, addestramento saturnino alla contemplazione della physis (“fisiologia”), alla conoscenza non-egoica dei logoi degli esseri (visti nello Specchio della Natura, il mercurio del cuore imbiancato, incanutito dalla sapienza). Il Cantico dei cantici è il libro dell’opera al rosso, ignificazione del mercurio, gnosi amorosa, conquista del corpo di immortalità.

Marcello, il successore designato di Augusto, muore prima che si stabilisca la pace dell’impero – la sua prematura scomparsa la benedice. Dante riprende il lamento di Virgilio per la morte di Beatrice, figura cristica: oportet che la Dama muoia, che sia assunta in cielo, oltre la spera che più larga gira, in modo da attirare a sé l’amante, il pellegrino predestinato. Stefan Georg canta la morte di Maximin quindicenne come condizione per l’apoteosi che sarà nuovo fondamento dell’impero: e Steiner, parlando dei giovani caduti della Grande Guerra e del figlioletto di un discepolo (meravigliosamente dotato) morto in un banale incidente, sente e rivela che i corpi sottili dei fanciulli scomparsi in verde età continuano ad operare nel loro piano, causale ed occulto, costituiscono, se il ragazzo era già in vita una presenza benefica, una sorta di aura protettiva, nutriente, propizia. Così il Talmud insegna che i neonati ebrei fatti uccidere da Faraone divennero una riserva di forza immane per Mosè, rinacquero in Mosè.

L’impero si fonda sulla morte del puer luminoso. Malkut, la sefirah del Regno, è la Donna che esce dal fianco dell’uomo, dal suo sacrificio: è il corpo mistico, la Keneseth o comunità santa, lo Spirito. L’albedo dell’impero, i gigli gettati a piene mani per il compianto di Marcello, i fiori di cui si circonda Matelda nell’Eden, manifestazione della viriditas, del rinnovamento della terra – tutto nasce da una breve e quindi eterna promessa falciata precocemente dal destino (da Saturno), che resterebbe giardino di Adone, rossa fioritura impaziente, se non si chiarificasse nel lutto, nel penthos di un amore disperato.